Suvorov e “l’ordine di Suvorov”

 

Aleksandr Vasilevic Suvorov fu uno dei maggiori rappresentanti dello zarismo militaresco di fine Settecento, ed uno dei generali più famosi della storia russa. Rappresentò, attraverso le sue guerre, le ambizioni storiche della Russia post-pietrina, desiderosa di guadagnarsi un posto tra le potenze europee, ed alle prese con la sua doppia vocazione euro-asiatica. Suvorov infatti partecipò alla guerra dei Sette Anni (1756-1763), poi si distinse contro la Turchia (1792), e fu il repressore dei moti polacchi del 1794. Non fu tuttavia lineare nella sua carriera, interrotta durante il regno di Paolo I, per il grande dissenso del generale verso la prussianizzazione dell’esercito russo. Orgoglioso sostenitore delle tradizioni nazionali, fu radiato dall’esercito e deportato, e rientrò in gioco solamente sulla spinta delle potenze alleate. Venne infatti richiesta la sua presenza per comandare le truppe nella campagna d’Italia e di Svizzera (1799), combattendo contro i Francesi. Non furono sufficienti i successi ottenuti: a causa dell’ennesimo voltafaccia di Paolo I, Suvorov non poté ricevere i dovuti festeggiamenti in patria. Non solo: gli venne impedito di accedere al palazzo imperiale, e, alla sua morte, nel maggio del 1800, lo zar partecipò appena in incognito al corteo funebre. 


Osannato in eterno dai suoi successori e ricordato in letteratura (Tolstoj sembra far aleggiare il suo spettro in Guerra e pace), Suvorov scomparve senza poter vedere sconfitto il suo ultimo nemico, Napoleone.  Sempre al servizio dell’espansionismo imperialistico zarista, il vegliardo ebbe fama presso i soldati per il suo motto va avanti e colpisci, che deriva dalla sua più famosa similitudine, ripresa poi dai suoi successori: “la palla è una vecchia pazza che non sa quel che si faccia, la baionetta è una giovine saggia e in tutto il suo vigore. ”  Seppur distintosi per essere rimasto imbattuto, Suvorov non dimostrò certo lungimiranza in questa sfiducia verso le armi da fuoco. Non si trattava in realtà solo di convinzioni personali del generale, ma anche di una dottrina bellica praticamente adottata sino alla Seconda Guerra Mondiale (la carica alla baionetta preferita allo scontro a fuoco), che intendeva da un lato celare carenze logistiche enormi in fatto di dotazione di armi e 
dall’altro sfruttare la pura forza numerica dellesercito russo e poi sovietico.


Un anno dopo la morte di Suvorov, nel 1801, stanchi di restare preda di Persiani e Turchi, i Georgiani divennero parte dellImpero russo. Centotrenta anni più tardi la Russia, divenuta sovietica, era comandata dal dittatore georgiano Stalin. Di fronte all’invasione nazista, in barba all’internazionalismo proletario e all’antizarismo, il capo sovietico ripescò le vecchie glorie Suvorov, Kutuzov e il medievale Aleksandr Nevskij per elargire medaglie intitolate ai sunnominati e propagandare la difesa dellURSS chiamando tutti alla Grande guerra patriottica, col beneplacito della Chiesa ortodossa russa. Fu così che, per esempio, il generale sovietico di origine polacca Rokossovskij  ricevette, assieme a tante altre medaglie di meriti di guerra, l’onoreficenza ordine di Suvorov, ovvero una commemorazione del generale che represse i suoi avi e il suo paese centocinquanta anni prima. E in breve tempo ancora un altro periodo di sovranità limitata avrebbe atteso i polacchi (senza remore da parte di Rokossovskij).

Riccardo Cammelli